I dati archeologici acquisiti nelle campagne di scavi condotte da Paolo Orsi nel suolo caltagironese, confermano quanto incidentalmente scrisse il gesuita Giampaolo Chiarandà nella sua storia della città di Piazza Armerina. Lo scrittore, infatti, ammetteva che ivi l'arte della ceramica fosse stata anteriore alla venuta degli Arabi e che vi fosse esercitata da molti vasai. Non è quindi nuova, né infondata, la comune affermazione che i ceramisti arabi, sin dall'827, a seguito della conquista musulmana dell'isola, si siano tosto stabiliti in questo centro ed abbiano piuttosto dato impulso all'arte ceramica, facendovi brillare i procedimenti tecnici da loro portati dall'Oriente. In particolare, l'invetriatura che soppianta in Occidente ogni residua tecnica ereditata dal mondo classico.
Le ragioni per cui la ceramica caltagironese ebbe notevole impulso nel medioevo sono da ricercare non solo nella buona qualità delle argille, ma anche nei vicini ed immensi boschi che fornivano la legna per la cottura dei manufatti nei forni ai numerosi ceramisti del luogo. Le quarare caltagironesi per contenere il miele erano note ovunque, al pari dell'industria del miele di cui parla il geografo arabo Edrisi. Esse sono citate anche negli inventari di beni lasciati in eredità, come quello del 1596 di Don Matteo Calascibetta, Barone di Costumino, abitante nella città di Piazza.
Che nel Medioevo il numero degli artigiani dediti all'industria del vasellame invetriato fosse rilevante è confermato dalla notizia fornitaci dal Francesco Aprile di fornaci sepolte da una frana nel 1346 sul fianco occidentale del castello e dell'esistenza, ai primi del Cinquecento, di un intero rione di maiolicari - distinto da quello dei comuni vasai - a fianco della chiesa di San Giuliano e dove nel 1576 sorse la chiesa di Sant'Agata: lì la maestranza, abbandonata la lontana cappella della Madonna del Salterio o del Rosario nella Chiesa madre, si raccolse prima di passare, nel secolo XVII, alla confraternita dell'Immacolata, nel vicino convento di San Francesco d'Assisi dei Padri Conventuali. Si sa altresì che questa maestranza, fiera dell'arte che esercitava, offriva al protettore della città, San Giacomo, dei paliotti d'altare fregiati di uno stemma che rappresentava un vasaio al tornio.







